La strana, amara, ruvida e grigia allegria
La provincia è quella di Novara, dove tra risaie, campi, passeggiate sotto i portici, folerie tra ragazzine, si schiude una storia di vita comune, vera come la luce fredda dell’inverno. Un matrimonio in provincia, è un libro di 100 pagine appena, scritto nel 1885, permeato da una “strana, amara, ruvida e grigia allegria”. Una storia ottocentesca, ma modernissima: una contestazione della donna romantica attraverso l’evidenza prosaica della fatalità piccolo-borghese. E la storia della maturazione di una ragazza di provincia, figlia di un notaio, che riesce a fatica a liberarsi dell'”immensa uggia” che la soffoca per anni, abdicando all’amore, intenso ma inespresso, per un suo giovane pretendente e rassegnandosi, lei “fresca come una rosa”, a sposare un quarantenne brutto e incolore.

Dalla prefazione di Natalia Ginzburg
Prendo in prestito alcune parole di Natalia Ginzburg, autrice della prefazione al libro, per spiegare l’atmosfera che si respira in questo breve romanzo scritto nel 1885 e ancora attuale. (Prefazione che vi consiglio di leggere solo alla fine della lettura del libro perché contiene spoiler su tutta la trama e sulle ultime, fulminanti e meravigliose, parole del finale)
Mia madre lesse il libro prima di me. Lo trovò “buffo, divertente, bellissimo”. In casa mia lo lessero tutti e lo trovarono bello e divertente. Ne parlarono e ne risero molto. Dissero che io certo l’avrei trovato noioso. Se volevo potevo leggerlo ma non mi sarebbe piaciuto. Era un romanzo d’amore, dissero, e non parlava di bambini. A me non piacevano i romanzi d’amore e volevi che nei libri che mi davano ci fosse almeno un bambino. Avevo fratelli più grandi di me e cercavo, nei libri e ovunque, presenze di bambini. Ma non sapevo mai che libri leggere e così lessi questo.
Lessi con grande noia le prime pagine, dove c’era quello che più odiavo incontrare nei libri, e cioè una descrizione. Questa descrizione mi sembrò molto lunga. Era una minuziosa enumerazione di suppellettili e stanze. (…)
Ciò che trovavo strano qui, era un modo di presentare le persone e i fatti senza colorarli di rosa né sollevarli in una sfera nobile, un modo ruvido, allegro e sbadato a cui non ero abituata nei libri, perché i libri che di solito leggevo erano traboccanti di miele, e io vi aggiungevo ancora altro miele che tenevo in serbo apposta per riversarlo sui libri, trovando sempre molto difficile riversarlo sulle persone di casa mia, le quali mi sembravano sempre sbadate e brusche, con gesti e risposte per me sempre ruvidi e inaspettati.
Così mentre leggevo questo libro mi sembrò di essere fra persone molto simili a quelle di casa mia, e mi sembrò di essere cascata nell’acqua fredda avendo conosciuto fino allora nei libri solo acque profumate e tiepide.Luoghi e persone avevano dei contorni solidi, asciutti e forti, e io davanti a loro mi tiravo indietro. Miele in loro non ne trovavo e non potevo né estasiarmi contemplandoli né festeggiarli. Il colore era quello di una giornata invernale nevosa e nebbiosa, lo stesso che avrei visto di là dai vetri della mia finestra se avessi alzato lo sguardo.
Lessi e rilessi questo romanzo innumerevoli volte, tra i sette e i quattordici anni. Non potevo inventare per loro eventi diversi e migliori, perché qui le cose erano come erano e io non potevo spostarle nemmeno in un centimetro.
Natalia Ginzburg, dalla Prefazione del libro Un matrimonio in provincia.
“È difficile immaginare una gioventù più monotona, più squallida, più destituita d’ogni gioia della mia. Ripensandoci, dopo tanti e tanti anni, risento ancora l’immensa uggia di quella calma morta che durava, durava inalterabile, tutto il lungo periodo di tempo, da cui erano separati i pochissimi avvenimenti della nostra famiglia.
Non conobbi mia madre, che morì nel primo anno della mia vita. La famiglia si componeva del babbo, notaio Pietro Dellara; d’una vecchia zia di lui, una zitellona piccola, secca come un’aringa, che dormiva in cucina dove aveva messo un paravento per nascondere il letto, e passava la vita al buio dietro quel paravento; di mia sorella maggiore Caterina, che si chiamava Titina; e di me, che avevo ereditato dal mio compare il nome infelice di Gaudenzia, ridotto, per uso di famiglia, al diminutivo ridicolo di Denza.”
Libro in opensource
Il testo non è più sotto diritto d’autore, in quanto è stato pubblicato a fine ottocento, pertanto è possibile trovare online l’intero testo del romanzo Un matrimonio in provincia, potete leggerlo qui

Alla prossima recensione,
Alessandra
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