Veneto barbaro
In fondo il Veneto ha avuto il suo riscatto, e la sua cultura popolare, dal mondo moderno, il mondo della produzione e
Goffredo Parise, Veneto «barbaro» di muschi e nebbie, 1987.
del consumo. Altro che Veneto bianco, cattolico, bigotto, eccetera, i luoghi comuni della politica! Il Veneto era, ed è,
forte, barbaro, e dunque produttivo, e dunque industriale.

In Tristissimi giardini, il vicentino Vitaliano Trevisan (Laterza, collana Contromano, 2010) sviscera passato e presente del capoluogo vicentino con uno sguardo impietoso e rassegnato nel constatare la decadenza incivile del paesaggio e dello iato che si è frapposto fra l’immaginario che avvolge le città venete, le loro amministrazioni, i loro imprechi e gli abitanti, attoniti di fronte a una rappresentazione fosca, che diventa commistione e senso tragico dell’abitare il Veneto, allargando lo sguardo dal centro al grande conglomerato di periferia urbana.
La scrittura di Vitaliano Trevisan è una zappa che lavora la terra
Gelosissimo della sua prima persona, Trevisan si designa come autore e non scrittore e con grazia ragionevole disegna un’immagine in movimento e stratificata di Vicenza e soprattutto del non paesaggio dell’autostrada che collega la città palladiana a Treviso e a Padova. Nel libro le vicende individuali di Trevisan si accompagnano alle vicende politiche.
Il mito della “locomotiva dell’Italia” è fortemente radicato nella visione che i veneti vogliono comunicare di sé stessi ed è anche il tessuto sociale sul quale si costruisce un’epopea di campi arati e di campagne nelle quali si respira, ormai, un sentimento di vuoto e di abbandono.
Già Guido Piovene e Goffredo Parise osservavano le mutazioni antropologiche della condizione dei lavoratori veneti. Negli anni Cinquanta, c’era un Veneto produttivo, attaccato ai valori del territorio e alla sua terra, successivamente un Veneto di fabbriche e industrie, che continua ad alimentare un immaginario di resilienza a oltranza, di stoicismo pascaliano alla frangar, non flectar.
Vitaliano Trevisan, Tristissimi giardini, Laterza
“Si ricordi che qui lavoriamo coi secondi, capisce, coi secondi! Arrivederci, aggiunge”.
Oggi ci sono case affollate di anziani, che se fragili, devono cercare una badante o un OSS per seguire l’iter che la medicalizzazione del paziente anziano impone. Trevisan si dimostra consapevole delle contraddizioni che i valori del dio denaro e del duro lavoro innescano nelle coscienze venete; i nodi che guidano il suo ragionare sono i percorsi culturali che contribuiscono a confermare, attraverso stereotipi e pregiudizi, una rappresentazione distorta del rapporto fra Nord e
Sud.
I giardini dicono molto sugli esseri umani
“Tristissimi giardini” è anche il titolo del terzo capitolo del libro, quello in cui l’autore parla della madre, della sua vecchiaia, della malattia, della casa d’infanzia e quindi dei giardini di devastante tristezza. “I giardini non sono affatto tristi. Non sono nemmeno allegri, ma, a chi li vuol guardare, dicono molto sugli esseri umani che li governano” afferma e poi esplode nell’invettiva contro “l’insopportabile prato inglese, con relativo e indispensabile sistema di irrigazione automatico, l’irritante pietra/blocco da giardino, […] e gli ulivi centenari”.
Adriana Ferrarini, Il Paesaggio a Est

Inoltre, Trevisan non si limita a scattare una fotografia storica e sociologica di Vicenza. Non lascia spazi al lettore per una dimensione di risalita, si mantiene fedele alla realtà terrena, senza alcuna consolazione ideologica o filosofica, in nome della “consolazione spirituale” degli autori vicentini come Guido Piovene e Goffredo Parise, la cui statura morale sembra non essere all’altezza del presente tristissimo che rappresenta. Piccoli bagliori nel mondo barbaro e produttivo del Veneto restano il teatro dell’assurdo di Beckett e la saggezza popolare distillata nell’educazione cattolica, come pure nella cultura romantica di Goethe, strappa un sorriso.
Goethe
La strada che porta a Vicenza è bellissima.
Un libro intenso e utile per capire ciò che di cui il presente storico ha bisogno, uno sguardo verso il passato è quanto di più vitale sia necessario, un rimettere in discussione le certezze che abbiamo per continuare a imparare altre parole, e allenare lo sguardo a inventare altre narrazioni del Veneto.
Alla prossima recensione,
Anna Quartaro
Le fabbriche abbandonate
«Una rotazione completa del tamburo rotante della betoniera intorno al suo asse: su questa unità di tempo è tarato l’orologio degli umani e dei flussi relativi; o viceversa, in fondo la cosa ha poca importanza: animali, vegetali, persone, sentimenti, pensieri, ovvero merci e flussi di merci, e in definitiva tutto ciò che si muove in e per questo territorio, si regola sullo stesso metronomo, ‘lavora’ con gli stessi secondi, o meglio, nel caso umano, ne ha l’impressione; ma negli interstizi, nelle pieghe, nei bordi, negli spazi residui, abbandonati, ai margini, fuori dal flusso, un altro tempo lavora e così in ogni caso moriamo. Curioso: i luoghi in cui più intensamente se ne percepisce la presenza sono le fabbriche abbandonate. La prima impressione che si ricava, esplorando questi spazi, è che lì il tempo si sia improvvisamente fermato, ma naturalmente no, non è così, solo non scorre, non fluisce, soggiorna, abita il luogo, ne pervade l’atmosfera, si fa respirare, toccare, pensare, e nel mentre lavora, indifferente, con ostinata determinazione.»
Vitaliano Trevisan, Tristissimi giardini, Laterza, 2010
Vitaliano Trevisan
Vitaliano Trevisan, nato a Sandrigo in provincia di Vicenza nel 1960, è stato scrittore, sceneggiatore, attore, drammaturgo e regista teatrale. Per il cinema, è stato sceneggiatore e attore in Primo amore di Matteo Garrone e attore in Riparo di Marco Simon Puccioni.
Per il teatro, Trevisan ha curato nel 2004 l’adattamento di Giulietta di Federico Fellini e ha scritto, tra gli altri, Il lavoro rende liberi, messo in scena nel 2005 da Toni Servillo, e i monologhi Oscillazioni e Solo RH, pubblicati da Einaudi nel volume Due monologhi (2009).
Tra le sue opere: I quindicimila passi. Un resoconto (Einaudi 2002), Un mondo meraviglioso. Uno standard (Einaudi 2003), Il ponte. Un crollo (Einaudi 2007) e Una notte in Tunisia (Einaudi 2011) e Works (Einaudi 2016 e 2022).
Trevisan è scomparso all’età di 62 anni. Nel ricordarlo, Jacopo Bulgarini d’Elci sulla sua pagina Facebook scrive: «È morto il più grande romanziere italiano del nostro tempo, l’unico che sapeva raccontare questo mondo e la sua insensatezza con eleganza, stile, spirito, e soprattutto ritmo».