Scrittrici che amo – la serie
Qualche settimana fa mi sono svegliata una mattina con la voglia di vedere ritratte in una foto alcune delle mie scrittrici preferite. Ho preso dei libri dagli scaffali e li ho impilati sul mio bel pavimento. Ho fatto due passi indietro e ho scosso la testa. La torre di libri era troppo alta, massiccia, pesante e l’ho snellita con una selezione sentimentale. Alla fine di questa operazione avevo 12 libri delle scrittrici che amo. (qui il post completo) Ora sto scrivendo le recensioni nell’ordine che mi hanno consigliato i miei lettori: ho parlato di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, ho parlato Sembrava una felicità di Jenny Offil e oggi è il turno di Natalia Ginzburg, Le piccole virtù.
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Le piccole virtù
Oggi la recensione è dedicata a Le piccole virtù di Natalia Ginzburg, una raccolta di undici racconti, riflessioni, ritratti scritti da Natalia Ginzburg. Tra i vari racconti c’è il famoso Ritratto di un amico, che Italo Calvino ha definito “la più bella cosa che sia stata scritta sull’uomo Cesare Pavese”, oppure “lui e io” un magnifico ritratto dell’amore coniugale “Lui ha sempre caldo, io ho sempre freddo”, con le sue luci e ombre, o, ancora, i ricordi di Londra “è un paese che si è sempre dimostrato pronto ad accogliere gli stranieri”. Tutto il libro merita di essere letto ma io l’ho scelto per un particolare racconto.
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Un titolo che trae in inganno
Iniziamo dal titolo che può trarre in inganno: le piccole virtù non si riferisce alle virtù domestiche, quotidiane, casalinghe, anzi, il testo dice di insegnare ai propri figli non le piccole virtù ma le grandi. E allora perché il libro e il racconto da cui prende il nome si intitola così? Semplice. “Le piccole virtù” è un bel titolo, “Le grandi virtù”, invece suona male e non ci si immagina un libro di successo intitolato così.
Nasce da un equivoco pensare che sia un libro dedicato alle cose minute, nascoste, da donne (anche se il carattere della Ginzburg era proprio quello di stare nelle retrovie, di essere umile e modesta) anzi, è un libro dedicato alle grandi virtù: alla pazienza, al coraggio, all’amore…
Il mio mestiere
Il motivo principale per cui ho scelto di inserire Le piccole virtù e non il più famoso Lessico Famigliare (che pur amo moltissimo) nella serie delle dodici scrittrici è il racconto in cui Natalia Ginzburg ripercorre le tappe della sua vita che l’hanno fatta diventare scrittore.
Il mio mestiere è quello di scrivere e io lo so bene e da molto tempo. Spero di non essere fraintesa: sul valore di quel che posso scrivere non so nulla. So che scrivere è il mio mestiere. Quando mi metto a scrivere mi sento straordinariamente a mio agio e mi muovo in un elemento che mi par di conoscere straordinariamente bene: adopero degli strumenti che mi sono noti e famigliari e li sento ben fermi nelle mie mani.
La Ginzburg procede dicendo che se prova a fare qualunque altra cosa studiare una lingua straniera, lavorare fuori casa, parlare in pubblico va in ansia, si sente inadeguata, soffre e si sente una leggera nausea. Poi racconta di come ha iniziato a scrivere da bambina: lunghe poesie in rima (lontananza/speranza), poi romanzi pieni di poliziotti con lo sfollagente, carrozze e dame, e poi, racconti, alcuni molto seri.
Un mestiere serio
“Ho scoperto allora che ci si stanca quando si scrive una cosa sul serio. È un cattivo segno se non ci si stanca. Uno non può sperare di scrivere qualcosa di serio così alla leggera, come con una mano sola, svolazzando via fresco fresco. Non si può cavarsela così con poco. Uno, quando scrive una cosa che sia seria, ci casca dentro, ci affoga dentro proprio fino agli occhi;”
Continua raccontando come impara a costruire i personaggi: dice che va in giro per la città spiando le persone e riportando in un taccuino i tic, i dettagli del viso e delle belle frasi da utilizzare in un racconto. Dice anche che non ci riuscirà mai, che le frasi si cristallizzeranno nel bloc notes, senza vita.
Scrivere come un uomo
In seguito desidera scrivere come un uomo: “L’ironia e la malvagità (dei personaggi) mi parevano armi molto importanti nelle mie mani; mi pareva che mi servissero a scrivere come un uomo, perché allora desideravo terribilmente scrivere come un uomo, avevo orrore che si capisse che ero donna dalle cose che scrivevo. Facevo quasi sempre personaggi uomini, perché fossero il più possibile lontani e distaccati da me”
Racconta poi che non appena diventata brava nello scrivere racconti inizia ad annoiarsi e a non provare più piacere: “Il mondo taceva per me. Non trovavo più parole per descriverlo”
Una scrittrice
Poi nascono i figli e “quando erano molto piccoli non capivo come si potesse scrivere avendo dei figli. M’ero messa a disprezzare il mio mestiere.” Ma Natalia è una scrittrice e aggiunge con lucida sincerità “Ne avevo una disperata nostalgia, mi sentivo in esilio, ma mi sforzavo di disprezzarlo e deriderlo per occuparmi solo dei bambini.” I bambini mi parevano una cosa troppo importante, ma avevo una feroce nostalgia e mi veniva quasi da piangere. Pensavo che l’avrei ritrovato un giorno o l’altro, ma non sapevo quando. Pensavo avrei dovuto aspettare che i miei figli se ne andassero, invece non ci mise molto e tra un sugo di pomodoro e una passeggiata all’aperto Natalia afferma “adesso non desideravo più scrivere come un uomo”
Un mestiere difficile
Un’altra riflessione presente in questo racconto è “la nostra personale felicità o infelicità, la nostra condizione terrestre, ha una grande importanza nei confronti di quello che scriviamo” Quando siamo felici vediamo i personaggi in modo freddo, chiaro, distaccato, quando invece siamo infelici “abbiamo radici profonde e dolenti in ogni essere e in ogni cosa del mondo, del mondo fattosi pieno di echi e sussulti e ombre, a cui ci lega una devota e appassionata pietà. E poi ci mette in guardia “C’è un pericolo nel dolore così come nella felicità nelle cose che scriviamo” Prosegue con altre riflessioni sul mestiere di scrittore.
Questo mestiere non è mai una consolazione o uno svago, vuol essere lui a comandare, si rifiuta sempre di darci retta quando abbiamo bisogno di lui.
È un mestiere difficile, che si nutre delle cose belle e brutte, cresce e muta, quel che è importante è avere la convinzione che è un mestiere, una professione, una cosa che si farà per tutta la vita.
LINA
Molto piacevole il modo così dettagliato delle scrittrici e scrittori da te amati, alcune da me conosciuti altri no. Voglio chiederti se una volta che un libro di uno scrittore ti è piaciuto leggi anche tutti gli altri o no?
A me succede a volte che letto un libro piacevole vado a prenderne subito un altro ma rimango delusa.
Conosci Alicia Gimenez? Che ne dici dei suoi libri nel caso che tu ne abbia letto qualcuno.
Grazie se pèotrai rispondere
Unalettrice
ciao Lina, non sono il tipo da leggere tutta l’opera di uno scrittore uno in fila all’altro…non mi piace, preferisco saltellare da uno scrittore all’altro. Alicia Gimenez è una scrittrice di cui ho letto un giallo ambientato a Barcellona. Morta di carta.