Stamattina ho letto un articolo di Giulio Mozzi, che, con estrema serietà, scrive: In caso di refusi l’editore può fare un cazziatone al proto. Il proto. Questa parola mi ha aperto il mondo dei ricordi.
Non sentivo questa espressione da circa 8 anni quando pubblicai un testo di Storia dell’Economia a cura del prof Tommaso Fanfani. Il professore, parente di Amintore Fanfani, era un uomo di una classe e eleganza impareggiabili. Vestiva con giacche a quadri in tweed, parlava volentieri di Viareggio, la sua città, e della Piaggio, di cui aveva scritto la storia. Aveva modi gentili, parlava piano e scriveva a matita sugli angoli delle bozze cartacee. Mi lasciava degli appunti sulle bozze: “per proto: inserire una virgola” “per proto: togliere la parola economico”. “per signorina Alessandra: qui possiamo aggiungere il glossario?”. Era meticoloso e voleva consegnare le bozze cartacee tramite corriere postale, anche se, sul finire dei lavori, li convinsi a scansionare i fogli e a inviarmeli tramite internet. Lui era un po’ stupito, e recalcitrante, ma alla fine si fidava. Aveva all’epoca circa 65 anni, io 28.
Ricevevo le sue bozze, sempre precedute da una e-mail molto cortese. Aprivo il pacco di carta marrone con su il mio nome e leggevo. Ogni poche pagine mi imbattevo nella parola proto e rimanevo li a fissarla, incerta su come procedere.
Curavo i rapporti con l’autore, rivedevo la bozza, sia dal punto di vista dei contenuti, sia ero responsabile di farla impaginare decentemente, quindi amministravo un budget e diversi fornitori: il compositore che impaginava e riportava le correzioni segnalate dal prof, il grafico della copertina, scrivevo i testi per il sito web e per il foglio notizia per le librerie, controllavo e consegnavo i file di stampa alla produzione, correggevo e liberavo le ciano. Il mio lavoro all’epoca veniva chiamato Development Editor. Era un mix di competenze di editor, redattore, coordinamento editoriale, web content editor e produzione: in pratica dal primo contatto con l’autore fino al lancio in libreria erano cavoli miei. L’obiettivo era far arrivare un buon libro in libreria per l’inizio dei corsi universitari. Mi piaceva. Pubblicavamo quasi 100 libri all’anno.
Aprendo le bozze finemente vergate mi chiedevo se il proto fosse uno strano animale dell’era preistorica. La parola mi ricordava le amebe, gli organisimi microcellulari che vivevano in strani ecosistemi. Ho sempre avuto una fantasia poderosa. Mi basta poco per ridere sotto i baffi, persa nel mio mondo.
Un giorno, eravamo forse in terza bozza, il professore capì che non c’era alcun proto. Ero sempre io a rileggere e correggere le bozze. Con i modi gentili che lo distinguevano smise di scrivere proto, in silenzio. Aumentarono i commenti “per signorina Alessandra”.
Quando il libro uscì, festeggiammo, con gli altri docenti coinvolti, al ristorante della Bocconi. Fu l’ultima volta che lo vidi. L’anno seguente appresi la notizia della sua morte dai giornali e mi dispiacque. Otto anni dopo il mio lavoro si chiama Programme Manager. La filiera delle cose che faccio si è allungata, ma, in pratica, lavoro ancora con i contenuti per l’università. Talvolta si trasformano in libri cartacei, meno che in passato, ma recentemente ho pubblicato un libro di Zoologia. Ho cercato bene nelle bozze, e non ho trovato nessun proto.
miscarparo70
Ma, in buona sostanza, proto sta per…? 🙂
Una lettrice
Era il responsabile della tipografia di un libro.