La distorsione percettiva
Uno studio dell’Università del Minnesota afferma che di fronte a due curriculum identici – ossia che riportino gli stessi titoli di studio e le stesse competenze – ma appartenenti ad un uomo e una donna, tendiamo, curiosamente, a pensare che l’uomo abbia delle competenze maggiori. Secondo un bizzarro schema del nostro cervello, un percorso prestabilito, un’euristica, come si dice, l’uomo ci apparirà più professionale. Ad esempio se fossero i curriculum identici di due manager, un uomo e una donna, con la stessa istruzione e le stesse esperienze lavorative, candidati entrambi per un lavoro dove si debba viaggiare, a causa della nostra distorsione di pensiero sarà l’uomo che sembrerà subito più libero di disporre del proprio tempo, anche se, in realtà, non possiamo saperlo.
Avete mai sentito qualcuno dire “preferisco rivolgermi ad un dottore maschio/uomo perchè mi fido di più?” io sì, e anche questo è un bizzarro scherzo del nostro cervello. Gli psicologi chiamano questo atteggiamento “distorsione percettiva” e affermano che ne siamo tutti esposti, ma purtroppo non ne siamo pienamente consapevoli. Inoltre anche se ne fossimo consapevoli non aiuterebbe, ciò che sconfigge la distorsione percettiva è solo l’abitudine. In pratica mano a mano che ci abituiamo a vedere donne che lavorano come deputata parlamentare, medico, giudice, eccetera, eccetera, la distorsione percettiva piano piano scomparirà. Mentre aspettiamo che la società cambi, è bene aumentare la nostra consapevolezza in merito alle differenze di genere.
Uno dei meriti del libro Facciamoci avanti, Sheryl Sandberg, Mondadori 2013 è che porta alla luce le distorsioni cognitive cui siamo tutti vittime e, anche solo per questo motivo, merita di essere letto.

Perché le donne spariscono dalle aziende?
In Italia le donne, oggi, rappresentano il 60% dei laureati. Le aule universitarie sono affollate da giovani donne e, anche le aziende hanno un numero abbastanza alto di donne al primo impiego o di donne impiegate. Ma se balziamo avanti veloce a 15 anni dopo l’ingresso nel lavoro, quante donne troviamo nelle posizioni dirigenziali delle aziende? Pochissime o quasi nessuna. e donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia, e registrano performance migliori sia in termini di regolarità negli studi che di votazione finale (concludono gli studi in corso il 60,2% delle donne, rispetto al 55,7% degli uomini; il voto medio di laurea è in media, rispettivamente, pari a 103,9 contro 102,1/110). Eppure gli uomini sono più valorizzati sul mercato del lavoro, guadagnano il 20% in più e occupano professioni di più alto livello. La pandemia, poi, ha ulteriormente ampliato le differenze di genere, soprattutto in termini di tasso di occupazione. E a cinque anni dal titolo, in presenza di figli, il divario di genere si amplifica ulteriormente.
Che cosa succede a queste donne tra gli inizi della carriera e la dirigenza? Perché studiano tanto (e le ricerche sostengono che siano più brave degli uomini) eppure non riescono a sedersi ai tavoli della dirigenza? Che fanno, le donne, scompaiono? Si dissolvono? No, semplicemente si tirano indietro.
Scelgono di non sedersi ai tavoli più importanti, ossia scelgono di dedicare il proprio tempo ad altro. Il libro sostiene che ogni scelta è lecita e benvenuta ma è interessante indagare il perché della questione. Insomma, perché solo pochissime riescono a sfondare nella carriera e è chiaro che non è perchè sono meno brave, anzi. Tolta la parte sacrosanta di quelle che non vogliono fare carriera, le altre, dove sono finite?
Le donne decidono di rinunciare a priori
Il libro Lean in, Facciamoci avanti, Sheryl Sandberg, Mondadori spiega alcuni tra i più comuni atteggiamenti femminili rispetto al lavoro. Uno dei quali risponde alle domande precedenti e per me è l’aspetto più interessante del libro.
Il libro spiega come le donne, nella carriera, si tirano indietro. Spesso dopo una gravidanza, spesso in vista di una possibile gravidanza – che magari arriverà 10 anni dopo – le donne rinunciano a posti di lavoro, a impieghi migliori, a posizioni lavorative che, sulla carta, sembrano inconciliabili con le proprie aspirazioni di metter su famiglia. Attenzione, nel libro non si negano le oggettive difficoltà di conciliare figli e lavoro. Una condizione che è costante da anni e negli USA è meno tutelata che in Italia. Non si nega l’assenza di supporti adeguati (asili nido dal costo sostenibile, au pair per le faccende domestiche, orari di lavoro flessibili) e si individuano anche donne che non sono interessate a una realizzazione professionale ma preferiscono dedicarsi solo alla famiglia, ma, per coloro che vorrebbero una carriera il libro pone l’accento su un atteggiamento tipicamente femminile: la remissività. Le donne rinunciano a priori perché sanno che le donne di potere non sono apprezzate né dagli uomini né dalle donne? Possibile. Oppure perché sanno che avere delle ambizioni professionali è considerato un optional o, peggio, è considerato disdicevole. Non è un complimento affermare che una donna è molto ambiziosa. Forse, ma secondo Sandberg c’è qualcosa in più.
Autosabotarsi per essere accettate dal gruppo sociale
Sandberg, direttore operativo di Facebook, con un passato da dirigente di Google, racconta gli auto-sabotaggi comportamentali che le donne mettono in atto. La nostra società scoraggia le donne che prendono l’iniziativa: fin dalla più tenera età i maschi vengono incoraggiati a prendere il comando e a esprimere le proprie opinioni. Gli insegnanti interagiscono con i maschi, fanno loro più domande e non si scocciano se interrompono la lezione per chiedere. Quando sono le ragazze ad intervenire gli insegnanti le rimproverano per aver infranto le regole. Questo atteggiamento si riflette anche da adulti, nel mondo del lavoro. Ci tiriamo indietro prima che le opportunità si presentino perché ci hanno insegnato che è giusto così.
A Google vige la strana politica per cui gli ingegneri devono auto-candidarsi per una promozione, Sandberg racconta che gli uomini lo fanno il 60% di volte in più delle donne. Le donne hanno atteggiamenti ascritti al proprio genere. Uno dei quali è per esempio cedere il passo, non far notare la propria bravura, mimetizzarsi senza spiccare pena lo stigma sociale.
Quando un manager di Google informò direttamente le dipendenti che gli uomini si candidavano molto più frequentemente in modo spontaneo, anche le donne iniziarono a candidarsi per una promozione. Un incoraggiamento del capo aveva sortito l’effetto desiderato
Prima di questa lettura non avevo mai avuto occasione di riflettere su quante volte io mi sia tirata indietro, quante volte io abbia evitato di provarci a priori. Chissà quante donne, come me. Credo che il libro abbia il pregio di renderci consapevoli di un atteggiamento che tutte mettiamo in atto;
Negare le questioni di genere, è un atteggiamento tipico del genere
Ogni lavoro richiede sacrificio, tutto sta nell’evitare sacrifici inutili. Questo è particolarmente difficile perché la nostra cultura del lavoro, in occidente, da molto valore alla dedizione totale al proprio impiego. Temiamo che menzionare altre priorità ci faccia perdere valore come lavoratrici. In questo senso ammettere che come donne abbiamo anche altre priorità, oltre al lavoro, si rivela spesso un auto-sabotaggio.
Sandberg, madre di due figli, racconta che durante il convegno Women Facebook le venne chiesto come riuscisse a conciliare lavoro e famiglia. Aveva programmato di raccontare che, dopo il secondo figlio, aveva cambiato orari lavorativi. Usciva, ogni giorno, alle 17,30 per cenare con i figli e riprendeva a lavorare dopo cena. Decise di raccontare i nuovi orari, il convegno fu trasmesso su internet e la rete esplose di commenti e non furono tutti positivi, anzi. Scrive “Se da una parte ero contenta di aver dato avvio a una discussione, l’attenzione che aveva sollevato l’argomento mi diede la sgradevole sensazione che qualcuno avrebbe avuto da obiettare e sarei stata licenziata. Dovetti rassicurare me stessa che quei pensieri erano assurdi. Tutto quel clamore, però, mi fece capire quanto sarebbe stato difficile per una persona in una posizione meno privilegiata ammetterlo.” Sandberg è stata una delle dieci donne più potenti del mondo, per cui è interessante osservare la sua reazione emotiva interna “oddio mi licenzieranno per quello che ho detto.” Il condizionamento culturale dello stare un passo indietro scorre potente nelle nostre vene.
Contemplare la possibilità che il nostro genere di appartenenza abbia un impatto sulla nostra carriera è un primo passo avanti. Siamo competenti ma ci tiriamo indietro, temendo di non riuscire. Il libro non nega che esistano delle oggettive difficoltà, ma credo valga la pena leggerlo per chiarirsi le idee su quanti atteggiamenti personali possiamo modificare per farci avanti invece di tirarci indietro.
Alla prossima recensione,
Alessandra