(ciao, sono tornata!)
Proseguono le interviste ai lettori. Oggi chiacchieriamo con Antonio che ho conosciuto al gruppo di lettura di aNobii di cui ho fatto parte per 3 anni circa. Antonio mi ha fatto conoscere alcuni autori della “mittleuropa” facendomi immergere nel mito asburgico. Io ne so veramente poco, lascio la parola ad Antonio che ho intervistato per condividere con voi la bellezza di un’epoca che vuole “Perseguire un ideale di equilibrio, di bellezza, di profonda umanità e di serenità mentre fuori infuria il disastro ”

1- Quale è stato il primo libro che hai letto?
Onestamente non ricordo, i primi di cui ho memoria sono Cipì di Mario Lodi (che la maestra ci leggeva ad alta voce in prima elementare, destando serie preoccupazioni tra il pubblico, dato che parla di un uccellino che cade dal nido) e Il grande libro della mitologia, una specie di dizionario per bambini con i personaggi dei miti greci e romani. Poi Viaggio al centro della Terra di Giulio Verne e una riduzione per bambini di Moby Dick.
2- Consiglia 5 libri “Mitteleuropei” che ti hanno appassionato e che consiglieresti.
Provo ad uscire dall’ovvio e scelgo quattro titoli di autori non molto noti. Kafka, Musil, Roth (Joseph), Hoffmanstahl li conoscono tutti. Visto che l’Italia ha fatto parte della Mitteleuropa, inserisco un nostro compatriota (non Svevo, per le ragioni dette sopra).
Il quinto titolo è un saggio molto noto, direi notissimo, agli appassionati, ma forse meno noto al di fuori di quella cerchia. E’ il quinto, ma potrebbe essere il primo. Chi volesse avvicinarsi al mondo mitteleuropeo potrebbe leggerlo come guida e introduzione. Potrebbe essere anche la conclusione di un percorso di letture, per confrontare le proprie impressioni con le riflessioni di un profondo conoscitore di questa letteratura.
Il quinto titolo è un saggio molto noto, direi notissimo, agli appassionati, ma forse meno noto al di fuori di quella cerchia. E’ il quinto, ma potrebbe essere il primo. Chi volesse avvicinarsi al mondo mitteleuropeo potrebbe leggerlo come guida e introduzione. Potrebbe essere anche la conclusione di un percorso di letture, per confrontare le proprie impressioni con le riflessioni di un profondo conoscitore di questa letteratura.
– Il cavaliere svedese, Leo Perutz. Nel freddo inverno tedesco dei primi del ‘700, mentre infuriano le guerre di religione, un ladro scambia il suo destino con quello di un cavaliere. Ma il destino può essere ingannato, non battuto. Non per sempre. Se devo scegliere una caratteristica di Perutz (matematico, erudito, campione di bridge), è la sua capacità di collocare storicamente le sue trame con pochi cenni, evitando i dettagli pedanti e libreschi, di cui necessitano gli scrittori mediocri. Una volta portato il suo lettore nei luoghi e nei giorni della vicenda, il resto lo fa la profonda conoscenza dell’animo umano, la diabolica abilità nel costruire le trame, l’eleganza assoluta di un finale memorabile, sorprendente e commovente. Pochi, tra coloro che hanno letto questo libro, non lo hanno amato. Se siete fra questi, non voglio conoscervi.- Lo stendardo, Alexander Lernet-Holenia. Holenia è il figlioccio letterario di Perutz, suo allievo e amico fraterno. Aristocratico nostalgico del vecchio Impero, fra i pochi intellettuali famosi a rifiutare di iscriversi al Partito Nazionalsocialista dopo l’Anschluss, in questo libro racconta la fantasmagorica fine dell’es
ercito imperiale, la sua dissoluzione, il contrasto insanabile tra l’ideale sovranazionale del K.u.K. e il ruggente nazionalismo dei popoli riuniti sotto la corona absburgica. Su questo sfondo leggerete di una storia d’amore, di amicizie virili, dell’ultimo assalto all’ombra di una vecchia bandiera, forse lacera ma non per questo meno gloriosa. Personalmente, ritengo Holenia un grande scrittore, quando scrive di sè, del suo mondo, dei suoi affetti profondi. Quando scrive d’altro, tende a diventare meccanico. Non è il caso de Lo stendardo, il suo romanzo più celebre e forse il migliore da cui iniziare.

– Il testimone oculare, Ernst Weiss. Verso la fine della Grande Guerra, un soldato viene curato per un caso di cecità, forse determinato da esposizione a gas, forse da isteria. Il medico ebreo che lo guarisce non può sapere che quel caporale austriaco è destinato a diventare l’uomo più pericoloso e potente d’Europa. Weiss, buon amico di Kafka, è uno dei grandi dimenticati della letteratura praghese. Persona spigolosa e difficile (come riporta anche Zweig), è uno scrittore profondo e raffinato, che in questo racconto adotta la prospettiva di un uomo incapace di partecipare a ciò che lo circonda e si limita a registrarlo, testimone oculare impotente del disastro tedesco.
– Il piccolo almanacco di Radetzky, Gilberto Forti.Forti era un apprezzato traduttore di poeti. Non ho mai letto nulla di tradotto da lui, ma sono ragionevolmente sicuro che conoscesse molto bene l’arte di mimetizzarsi dietro i suoi autori. Con un estro che sarebbe riduttivo definire elegante, l’autore ricama un florilegio di citazioni del miglior campionario del Mondo di ieri, l’Europa centrale (con le sue propaggini balcaniche, italiane, polacche, tedesche). Era il mondo precariame
nte appoggiato sulla faglia più instabile della vecchia Europa, che Zweig ha ritratto in modo tanto indelebile quanto romanticamente impreciso nel suo libro autobiografico. Qui se ne colgono gli ultimi momenti, grazie alle parole di uno scelto elenco di testimoni. Limitarsi a dire che il Piccolo Almanacco è elegante sarebbe sbagliato, così come ridurlo a un elenco di frasi più o meno famose. Forti riesce a costruire un racconto dei giorni che chiusero la Belle Epoque cincischiando con grande sensibilità fra citazioni di romanzi, versi di poesie, brani di lettere, articoli di giornale.Per chi ama quel mondo, è un album di famiglia. Ci sono i parenti importanti, Rilke, Hoffmanstahl, Zweig. Gli scapestrati che però tengono viva l’atmosfera, Kraus, Hasek. Gli sfortunati, quelli un po’ in disparte, Kafka, Trakl. Ci sono i musicisti, Webern, Schonberg. C’è anche il chiacchierone Joseph Roth, come no, che ne racconta una delle sue, di quando fu mandato – allievo ufficiale – a vegliare Francesco Giuseppe col picchetto d’onore a
lla Kapuzinergruft. Con Roth non sai mai cosa pensare, ha vissuto mille vite, almeno 999 delle quali inventate di sana pianta con la salda alleanza dello Slivovitz.


E del resto, mai rovinare una bella storia con la verità. (Nota: questo libro fa coppia con un altro che, anche visivamente, è il suo gemello. Si intitola “A Sarajevo il 28 giugno”).
– Il mito absburgico, Claudio Magris. Claudio Magris non ha bisogno della mia presentazione. Il saggio è stato scritto per lettori
specialisti, non è abbordabilissimo, ma merita ogni minuto di fatica che gli ho dedicato. L’esito di questa affascinante e penetrante analisi demitizzatrice non si limita a smontare il mito del mondo mitteleuropeo, evidenziandone i limiti.Magris, già nella prefazione, spiega che il bisogno di una demitizzazione è sorto anche (o sopr
attutto) dal bisogno di restituire al mito i suoi caratteri più autentici e profondi, liberandolo dalle troppe sovrastrutture e dalle letture frettolose.Perché la civiltà che descrive ebbe davvero tante della qualità che i suoi poeti hanno poi cantato e rimpianto. Perseguire un ideale di equilibrio, di bellezza, di profonda umanità e di serenità mentre infuria il disastro non è poi tanto condannabile.
Il saggio mi ha condotto a ripensare ai molti romanzi e storie lette, alla ricerca di conferme o smentite alle tesi dell’autore e alle sue linee di interpretazione. Non so se potrò o vorrò rileggere tutti quei romanzi, ma sono sicuro che, se lo facessi, mi sarebbe impossibile farlo senza tornare continuamente alle analisi di Magris. Credo che sia il miglior complimento che possa fare al libro.


Il saggio mi ha condotto a ripensare ai molti romanzi e storie lette, alla ricerca di conferme o smentite alle tesi dell’autore e alle sue linee di interpretazione. Non so se potrò o vorrò rileggere tutti quei romanzi, ma sono sicuro che, se lo facessi, mi sarebbe impossibile farlo senza tornare continuamente alle analisi di Magris. Credo che sia il miglior complimento che possa fare al libro.
3- Chi ritieni sia un autore sopravvalutato e perché?
Io ho difficoltà mie con i giganti della letteratura russi, specie se già morti. Vorrei fare dei nomi eclatanti, anche solo per scatenare una polemica e alzare l’audience, ma la verità è che non vorrei finire in deportato Siberia con una “special rendition”. Sinceramente, non me ne viene in mente nessuno che valga la pena menzionare. Provo allora a citare un titolo: “La sonata a Kreutzer” di Tolstoj Nell’edizione che ho letto io, ho preferito di gran lunga gli altri due racconti.
Le altre interviste ai lettori:
A. Der Rosenkavalier (@Rosenkavalier70)
Grazie dell’ospitalità.
Una lettrice
ma prego!
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